In questo triste, difficile e incerto momento, non ho voluto scrivere di Covid-19 volutamente. Ritengo che le informazioni che riceviamo ogni giorno sono di per sé sovrabbondanti. Bombardati minuto per minuto da ogni dove di fake news e di notizie incongruenti non ci lasciamo sfuggire nemmeno un aggiornamento dei decreti del Governo.
Di punto in bianco siamo diventati appassionati di politica, d’informazione perché le restrizioni del lockdown ci hanno messo a dura prova e hanno fatto emergere in noi pensieri strani, profondi, di cambiamento radicale e di azioni che possano passare alla storia.
Almeno così sembrava fino a qualche settimana fa, quando ancora i numeri dei contagiati, morti e malati in terapia intensiva facevano presagire il peggio in tutto il mondo. Coinvolgente il sostegno virtuale (o chi ha potuto reale) per medici, infermieri coinvolti fino a perdere la vita. Al via campagne di informazione precauzionali per come proteggersi e l’invito accorato di restare a casa per evitare il più possibile il diffondersi di un virus mortale.
Sono stati giorni duri, pesanti, la conta dei morti trasportati per l’ultimo viaggio senza un familiare sui camion militari credo siano state le immagini più malinconiche e angosciose che ricorderemo per sempre. E ancora, nonostante stia aumentando il numero dei guariti e la situazione sembra tornare alla normalità, non possiamo dimenticare doverosamente e altruisticamente tutti coloro che sono stati a proteggerci per tutto questo tempo e, a tutti coloro che cercano ancora di capire con cosa abbiamo a che fare rischiando e morendo. Noi ci siamo limitati a rispettare le regole, una cosa semplice che è parte della vita di ogni essere umano e che ci rendono liberi nel vero senso del termine. Lo abbiamo fatto restando nelle nostre comodità e affetti mentre fuori si scatenava l’inferno. Quanto abbiamo sofferto la limitazione delle nostre azioni, quanto è stato difficile convivere con i nostri pensieri e cercare di coltivare la speranza di ritornare il più presto possibile alla nostra quotidianità.
La fase 2
Ed eccoci alla fase due. La distanza sociale è condizione precipua come la mascherina e il lavarsi spesso le mani, ma non è ancora tempo di movida soprattutto per i giovani, sottolinea il nostro premier Giuseppe Conte. A questo punto è lecito chiedersi perché ha ribadito questo concetto proprio ai giovani.
Un motivo c’è ed è chiaro
Nel Veneto e nella Lombardia le regioni più colpite dal Coronavirus si sono verificati gli episodi più insensati, definirei, della cronaca degli ultimi settanta giorni. Giovani multati perché festeggiavano con alcol facendo assembramento la fine del lockdown o sorpresi a fare l’aperitivo sui Navigli senza precauzioni. Comportamenti che hanno suscitato indignazione da parte dei governatori regionali che hanno minacciato nuove misure di contenimento laddove non ci sia il rispetto delle regole salva vita. Mi viene da pensare che tutto quello che è successo non è servito a niente. È stata poca cosa, una bazzecola, un momento passeggero che non ci ha toccato più di tanto e quindi torniamo a fare quello che abbiamo sempre fatto: nulla. Come scrive il mio ex professore di pedagogia Cosimo Laneve nel suo libro Derive Culturali e Critica Pedagogica “i giovani devono uscire dal cesto della mediocrità”.
Cosa significa uscire dal cesto della mediocrità?
La riflessione rimanda alla considerazione dei giovani di oggi che appaiono precocemente ingrigiti. Immersi in un’atmosfera di piccoli buoni sentimenti, di affetti effimeri e di amori passeggeri. Appaiono privi di punti di riferimento e di valori morali, vittime di una logica del gregge che li rende incapaci di esprimere le proprie idee e opinioni conformandosi al gruppo dei pari. Dotati di un super-ego debole senza regole e abbandonati a sé stessi magari trascorrendo la maggior parte del tempo davanti alla Playstation. La considerazione continua elencando ciò che di più piace ai giovani seguaci della marca, non lettori di libri, incapaci di progettare il proprio futuro perché troppo impegnati al virtuale piuttosto che vivere il reale. Potrei continuare all’infinito con la critica pedagogica di una deriva culturale che ha dimenticato l’impegno sociale (associazionismo, volontariato) per citarne qualcuna, quello politico sfociando nella mediocrità di una vita protetta e senza traumi, ma anche senza grandi passioni.
È mai possibile che l’esperienza non insegna?
Siamo in ginocchio, il mondo è ad una svolta epocale, le cose non sono e non saranno più come prima eppure c’è chi gioca con la vita degli altri, chi resta irresponsabile e pensa solo a sé stesso. La crisi educativa era nell’aria da molto tempo, inutile sfoderare teorie e metodi se alla fine si rivelano fallimentari. Consapevolezza e responsabilità ci dovrebbero accompagnare in ogni nostra azione e rappresentare il nostro modo di essere al mondo. Inutile fare appello alla coscienza se questa non viene coltivata ed educata. Inutile continuare a costruire se basta poco a perdere tutto. Bisogna essere tenaci e perseveranti nel progetto educativo e non smettere di credere che la stupidità non appartenga più all’essere umano.
- Inclusione dei fragili, il valore della Sciuscella di Anacapri - 4 Luglio 2024
- È tempo di cambiare rotta educativa - 26 Giugno 2024
- I bambini e la tecnologia: è giusto esporli? - 30 Novembre 2023
- Clown Therapy e i Nasi Rossi - 28 Novembre 2023
- Halloween napoletano - 30 Ottobre 2023
- La cura di sé - 26 Ottobre 2023
- Questo Natale ricomincio da me - 24 Dicembre 2022
- Psicologia: un progetto solidale per i disturbi della personalità - 6 Dicembre 2021
- Allergie pediatriche come riconoscerle - 25 Novembre 2021
- Cavalli e famiglie un binomio perfetto - 20 Ottobre 2021