Intervista alla dottoressa Martina Baldi Psicologa
La disabilità è un tema molto delicato e complesso che riguarda numerose famiglie molto spesso lasciate sole dalle istituzione e dalla società. La dottoressa Martina Baldi è una psicologa clinica che si è specializzata nei Disturbi specifici dell’apprendimento e nei Disturbi dello spettro autistico.
Attualmente sta conseguendo la specializzazione per le attività di sostegno didattico per alunni con disabilità, segno del suo impegno e amore per questa professione.
La sua mission è quella di fornire sostegno didattico e supporto psicologico a bambini e ragazzi con difficoltà scolastiche, realizzando percorsi educativi individualizzati mirati a far acquisire un metodo di studio personale ed efficace. La sua attività si basa sull’uso ottimizzato degli strumenti compensativi per aiutare i suoi piccoli pazienti ad accrescere la loro autonomia, l’autostima e il senso di autoefficacia. La dottoressa realizza terapie con bambini e ragazzi affetti da disturbo dello spettro autistico mirate all’ acquisizione di specifiche abilità e alla riduzione di comportamenti problema.
Dottoressa qual è l’impatto della disabilità sulle famiglie?
La nascita di un bambino/a con disabilità, rappresenta per la famiglia un evento fortemente stressante. Prima ancora della nascita del proprio figlio, i futuri genitori, spesso, costruiscono insieme o separatamente un’immagine idealizzata del bambino. Ogni genitore proietta nel proprio bambino/a la parte migliore di se stesso, che comprende sia ciò che egli ha saputo realizzare nella propria vita, sia i sogni e i progetti di ciò che avrebbe voluto essere, ma non ha realizzato. La nascita di un figlio/a “diverso” rappresenta per i genitori la negazione del proprio futuro, non solo per le limitazioni che inevitabilmente questo comporta, ma anche in senso ideale; la presenza di un deficit congenito, fisico o mentale può cancellare, fin dalla nascita, non solo le aspettative che sono state elaborate nei suoi confronti, ma anche un più ampio progetto familiare collegato con la sua nascita.
Come reagiscono i genitori alla diagnosi?
Un momento cruciale è quello della diagnosi di disabilità di un figlio/a. Essa, sia che venga formulata in epoca neonatale o in periodi successivi, rappresenta un momento di forte complessità per la famiglia, con ampie ripercussioni dal punto di vista emotivo. I genitori desiderano ricevere quante più informazioni possibili, al momento della diagnosi di disabilità del proprio bambino, anche qualora non siano capaci di comprenderle appieno o trovino tali informazioni irritanti. Una volta venuti a conoscenza della diagnosi, l’impatto emotivo che ne consegue risulta naturalmente molto forte. Vi possono essere reazioni iniziali molto diverse da parte dei genitori quali shock o sensi di colpa, per questo motivo, nella maggior parte dei casi, è necessario un periodo di tempo abbastanza lungo per affrontare la situazione nei suoi diversi aspetti.
E dopo?
Il forte senso di impotenza che essi avvertono può condurre i genitori ad utilizzare una serie di meccanismi di difesa, come la negazione, per proteggersi dal dolore e per distaccarsi emotivamente dalla situazione in cui si sono venuti a trovare. Tale rifiuto di fronte alla diagnosi si può anche esprimere in risentimento verso tutte quelle persone che esprimono commenti sui problemi e sulle anomalie di comportamento del loro figlio. Molto forte è infatti il senso di imbarazzo e di vergogna prodotto dall’attenzione da parte degli altri ai comportamenti anomali del bambino, che può manifestare in pubblico. I genitori possono condannarsi ad un autoisolamento forzato, dal momento che ogni contatto con l’ambiente sociale rappresenta una grave minaccia alla loro autostima e al loro senso di adeguatezza. La cosa che maggiormente preoccupa i genitori con un bambino o ragazzo disabile riguarda il “dopo di noi”, ossia il momento nel quale, dopo la loro morte, non ci saranno appoggi concreti né persone che siano riferimenti sicuri e significativi. Immaginare il proprio figlio adulto, non autonomo, incapace di condurre una vita “normale” e indipendente non è certo facile per un genitore.
Quanto è importante il supporto alle famiglie?
È importante se non fondamentale sostenere un genitore che affronta la complessa esperienza della crescita del proprio figlio disabile.Le famiglie non devono essere lasciate sole, ma è necessaria la costruzione e il supporto di reti di collaborazione fra professionisti e istituzioni. Le istituzioni sono chiamate a collaborare intensamente con la famiglia nella definizione e nell’attivazione del processo di aiuto. La famiglia ha un ruolo centrale nel progetto di riabilitazione del bambino: essa va informata e aiutata ad acquisire una conoscenza completa sulle problematiche che la riguardano, sulle terapie esistenti e scientificamente valide e sul percorso abilitativo riabilitativo che si prospetta per il loro figlio. Il sostegno psicologico poi svolge un ruolo fondamentale per tutto il nucleo familiare; aiuta a gestire lo stress, l’ansia a rafforzare il senso di empowerment e di accettazione nonché ad incrementare specifiche abilità educative. Tra gli interventi utili in ambito psicologico vi sono: il parent training: un programma di formazione che permette alle famiglie di acquisire tecniche di risoluzione di problemi specifici e di sviluppare maggiore conoscenza sulla patologia manifestata. Il lavoro viene così svolto:
- gli interventi domiciliari: programmi di riabilitazione da svolgersi direttamente nell’abitazione della famiglia del bambino.
- i gruppi di auto mutuo aiuto: incontri di gruppo di famiglie che condividono le stesse esperienze, e che confrontandosi tra loro con l’ausilio di uno specialista hanno la possibilità di essere sostenuti e guidati nella propria condotta educativa.
- La psicoterapia familiare: da attivare nelle situazioni in cui si evidenzino sintomi psicopatologici nelle relazioni familiari.
- Un ambiente esteso di supporto può fornire una serie di stimoli, di opportunità affinché i genitori siano sempre più consapevoli di come operare per creare e attivare quelle forze necessarie per l’adattamento positivo della famiglia.
Quali interventi consiglia?
Ritengo che gli obiettivi principali da perseguire nel trattamento della disabilità da un punto di vista psico-educativo sono sicuramente lo sviluppo dell’autonomia, il potenziamento delle abilità funzionali e l’inclusione nel contesto sociale. Occorre lavorare sulle potenzialità del bambino/ragazzo al fine di favorirne il loro massimo sviluppo. L’accento quindi deve spostarsi dalla disabilità all’abilità. Inoltre, è importante lavorare anche sul contesto in quanto esso spesso può causare la disabilità. L’ICF a tale proposito definisce la disabilità come “condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. Preme quindi la necessità di intervenire anche sul contesto sociale costruendo reti di servizi che riducano la disabilità. Per poter programmare questo percorso bisogna prima di tutto osservare il bambino, conoscerlo nella sua dimensione, comprendere i suoi bisogni. Sulla base di tale valutazione, si implementeranno in seguito gli interventi più opportuni.
Che ruolo ha la scuola in questi casi?
Un ruolo molto importante è sicuramente quello della scuola il cui compito è quello di favorire l’inclusione della persona con disabilità attraverso un’individualizzazione e personalizzazione della didattica, costruendo insieme ai suoi studenti, percorsi di apprendimento non solo all’interno ma anche fuori, capaci di favorire lo sviluppo di un progetto e percorso di vita che aiuti a realizzare pienamente il senso di autonomia della persona.
Cosa significa per lei svolgere questo lavoro?
Essere una psicologa, per me, significa cercare di cogliere le risorse di chi ho di fronte e favorirne la loro massima espressione. Siamo tutti portatori di grandi potenzialità, basta trovare la chiave di volta per farle emergere .
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Ciao sono il papà di una bambina disabile di 14 anni ,volevo porre in quesito mia figlia e seguita dalla Usl di competenza Nettuno dove ho trovato dei professionisti molto validi,e parlando con loro ho riscontrato che per i disabili da 12 e 18 anni non ci sono strutture adeguate per seguirli e le poche strutture che li prendono in carico lo fanno solo per una speculazione economica
Gentile Giampiero, mi perdoni se Le rispondo solo ora. Purtroppo la legge non tutela fino in fondo le categorie più deboli. Il supporto ai bambini e ragazzi viene offerto fino al diciottesimo anno di età. Dopo c’è il vuoto poiché non sempre ci sono specialisti adeguati a particolari casi, che oggi sono sempre più in crescita. Resta la coscienza di ognuno di noi nel fare il proprio lavoro e sostenere le tante famiglie lasciate sole. Non sono esperta di determinati meccanismi burocratici, ma ho affiancato famiglie che hanno provveduto da sole a concorrere per un riconoscimento sociale ed assistenziale dei propri figli. La mia speranza è che per sua figlia e tanti altri bambini e ragazzi, possa esserci una vita piena di opportunità e dignitosa, oltre l’amore incondizionato dei genitori. Cordialità.